«Perché non piangi?» chiese il poliziotto.
«Perchè le lacrime non lavano il sangue e neanche tutta l'acqua di questo lago potrebbe farlo». Con le manette ai polsi, Marco salì sulla volante della polizia. Ormai non c’era traccia di umanità sul suo viso, ma solo fredda alienazione.
Quella mattina, Como si era svegliata con un morto in più. Laggiù, dove le anatre galleggiano placidamente, come se fossero state adagiate, chissà da chi, sullo specchio d’acqua del lago, un ragazzo con tre pallottole nel torace stava con gli occhi aperti rivolti al cielo grigio. La luce non albergava più nei suoi occhi e nel suo spirito si era spenta tanto tempo fa.
Erano circa le tre di notte, quando Marco estrasse la pistola dai pantaloni. Sparò tre colpi, tre come le macchine della polizia che arrivarono poco dopo. Marco se ne stava lì, seduto vicino a quel corpo senza vita, in attesa degli uomini con le uniformi. Fissò il corpo per tutto il tempo, un tempo infinito, seduto sugli scalini che dalla strada conducono fino all’acqua del lago. Sembrava quasi che non sentisse il freddo umido sprigionato da quell’enorme massa liquida. In effetti, non riusciva a sentire nulla. Era immobile. Solo quando i poliziotti scesero gli scalini si alzò, offrendo le sue braccia, segnate dai buchi di una vile dipendenza, alle gelide manette. E, anche in quel caso, nessun tremore, nessuna esitazione, ma solo un tremendo distacco. L’imperturbabilità di Marco contraddiceva la sua giovane età. Il suo viso dolce e pallido, non ancora marchiato dalle fatiche del tempo, era stato colpito da una veloce e profonda mutazione. Aveva perso per sempre la sua giovinezza.
Una settimana prima la gente di Como si era radunata nella cattedrale di Santa Maria Assunta per dare l’ultimo saluto ad Alex, un ragazzo di soli vent’anni. Troppo giovane per morire, ma non abbastanza per trovare la voglia di vivere. Non si faceva vedere al bar da due giorni e non rispondeva al telefono. Quando i genitori, allarmati dal suo comportamento, anticiparono il loro rientro da Stoccolma, trovarono un corpo senza vita disteso vicino al sofà, con una siringa ancora infilzata nel braccio sinistro. Quel veleno aveva sottratto per sempre Alex dall’abbraccio di sua madre. Le urla della donna e la disperazione del padre, sono indescrivibili strazi di un dramma che non può essere narrato.
Non erano neanche le tre del mattino quando Marco arrivò sul posto. La persona che doveva incontrare era lì da un paio di minuti. Non fece in tempo ad accendersi la sigaretta, che Marco gli puntò la pistola e sparò. Quello cadde morto stecchito e Marco, dopo aver gettato la pistola, prese dal portafogli una vecchia fotografia. Lì, lui e suo fratello Alex erano con tutta la famiglia. Erano ancora felici.
«Signore, la vittima è uno spacciatore. Anni trenta, una pistola e cinquecento euro nascosti nel calzino destro», disse il poliziotto al suo superiore.
«Questo qui è stato dentro un paio di volte, me lo ricordo. Ora ha smesso per sempre».